Percorsi di ascolto – 10 – La luce dell’infinito
Nell’immaginario collettivo, specie fra i non addetti ai lavori, si è soliti esprimere diffidenza e perplessità verso la cosiddetta «musica contemporanea», in quanto associata a qualcosa di difficile comprensione, di non immediato ascolto, che non suscita particolari emozioni. Insomma, molta di questa musica richiede all’ascoltatore un grande impegno intellettuale, mentre si gradirebbe forse che il brano costituisse un momento di disimpegno, di rilassamento e non di ulteriore fatica dopo una giornata di intenso lavoro.
È indubbio che nel corso del XX secolo e inevitabilmente anche nel XXI la musica cosiddetta «classica» abbia conosciuto una tale varietà di espressioni compositive che, semplificando al massimo, va da un linguaggio neoromantico alle più radicali sperimentazioni avanguardistiche; si pensi all’avvento della musica elettronica e ai nuovi modi di produzione del suono e quindi di notazioni non convenzionali che si sono rese necessarie per indicare questi nuovi orizzonti sonori (un compositore su tutti, Karlheinz Stockhausen); si pensi alla musica «aleatoria», in cui il compositore lascia un margine più o meno ampio all’esecutore di intervenire con scelte proprie; in questo modo, il brano sarà sempre diverso ad ogni esecuzione, pur nella sua chiara impronta stilistica concepita dall’autore.
![György Ligeti (1984)](https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/4/4e/Gy%C3%B6rgy_Ligeti_%281984%29.jpg/256px-Gy%C3%B6rgy_Ligeti_%281984%29.jpg)
Patria di queste avanguardie è stata la scuola di Darmstadt, in cui hanno operato compositori come il sopracitato Stockhausen e, altro nume tutelare, Pierre Boulez. Se vi ho suscitato un minimo di curiosità andate ad ascoltare qualche composizione di questi due autori (vi potrei suggerire i Klavierstücke, Zyklus, per un percussionista e il ciclo «Licht» di Stockhausen; Le marteau sans maître e… Explosant fixe per ensemble da camera e nastro magnetico del compositore francese).
György Ligeti, ungherese, è stato un testimone attivo dell’evoluzione stilistica della musica contemporanea: egli, infatti, partendo da influenze Bartokiane e Stravinskiane (si ascolti, ad esempio, Musica recercata per pianoforte, autentico capolavoro), ha sperimentato anche la musica elettronica (ad esempio: Artikulation)
La odierna proposta di ascolto è senza ombra di dubbio uno dei capolavori assoluti della musica corale a cappella: Lux aeterna, per coro a 16 voci, composta 55 anni orsono, nel 1966.
Il testo usato è liturgico, tratto dalla «missa pro defunctis», ed è il seguente: «Lux aeterna luceat eis, Domine, cum sanctis tui in aeternum quia pius es. Requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis».
Ebbene, in questa composizione Ligeti adotta una notazione assolutamente tradizionale: è scritta su pentagramma, impiega i segni di durata, di dinamica e di ritmo consolidati dalla tradizione.
Tuttavia ci apparirà all’ascolto come una musica contemporanea, nuova.
«La luce dell’infinito» ho voluto definire questo splendido brano.
«È una musica che suscita l’impressione di un fluire senza inizio e senza fine. Vi si ascolta una frazione di qualcosa che è iniziato da sempre e che continuerà a vibrare all’infinito. Tipico di componimenti siffatti è il non avere cesure che l’idea di flusso non consentirebbe».
Cosa meglio delle parole dello stesso compositore ungherese ci aiutano a calarci nell’ascolto di Lux aeterna.
Senza entrare nel merito di considerazioni analitiche che sarebbero inevitabilmente troppo tecniche, vi invito ad un approccio aurale da tre prospettive.
Provate innanzitutto ad ascoltare questo brano lasciandovi trasportare esclusivamente dalle suggestioni uditivo-emozionali (caspita, se ce ne sono!), magari seduti in poltrona lasciandovi avvolgere dalla musica, ad occhi chiusi.
Sono sicuro che verrete trasportati in una dimensione ultraterrena, dentro un qualcosa che è già iniziato, che vi coinvolge pienamente e vi ammalia. Sicuramente non vi lascerà indifferenti.
Non percepirete il testo; non distinguerete le parole, ma solo frequenti e ravvicinatissime articolazioni sillabiche fra le voci, in un flusso continuo di suono; perché è così che Ligeti intende la parola: un’entità sonora unica e libera, un «luogo del suono».
Sarete immersi nella luce eterna partendo da un unico suono che comincerà a vibrare lungamente, a cui se ne aggiungeranno via via degli altri ad esso molto vicini (il semitono); il flusso sonoro si dipanerà nel corso dei 9 minuti di durata allargandone la sfera luminosa ora verso l’alto, ora verso la regione grave delle voci, ora ricoprendo l’intero spettro sonoro che le voci umane possono realizzare. L’infinito sonoriale in cui si è immersi sembra non avere fine, anzi, viene continuamente alimentato dal continuo gioco di entrate ed uscite delle varie voci nel continuum sonoro creato da Ligeti.
Alla fine del brano ciascuno di voi ne avrà ricavato forse un’emozione, forse uno stupore, forse magari un fastidio o un’inquietudine.
A questo punto vi inviterei a riascoltarlo osservando l’esecuzione dal vivo del bravissimo coro francese «Ensemble Aedes» diretto da Mathieu Romano. La presente esecuzione è realizzata a 16 voci reali. Avrete modo probabilmente di cogliere altri particolari che il solo ascolto non ha permesso di rilevare: l’estrema concentrazione di ogni singolo cantore, sia per la difficoltà della propria parte, sia soprattutto per la capacità di creare un unico flusso sonoro con ogni componente del coro, per non far venir meno neanche per un istante l’omogeneità che Ligeti vuole che venga realizzata durante l’esecuzione. In questo dipanarsi di luce, la figura del Direttore è di fondamentale importanza. Osservandone la direzione, sembra che non faccia molto: gesto essenziale, quasi a segnare la pulsazione che regola la propagazione sonora. In effetti non c’è bisogno di tanto altro. È un punto di riferimento «metrico» per i cantori che, autonomamente, devono sapere come muoversi nella sillabazione ritmica della parola. Ma osservate cosa succederà alla fine del brano: il coro smette di cantare, ma il Direttore continuerà a battere il tempo per alcune misure. È Ligeti che lo prescrive in partitura. Il flusso sonoro che si era dipanato nella luce continua «in eterno» con la sua vibrazione. Si finisce con il silenzio carico di eternità.
Ma come realizza Ligeti tutto ciò dal punto di vista compositivo? A tale riguardo vi voglio proporre di riascoltare Lux aeterna una terza volta, ma ora da un punto di vista sinestesico. Nel secondo video allegato alla presente scheda è rappresentata la partitura con segmenti colorati posti su sedici livelli di altezza distanti fra loro di un semitono, corrispondenti alle 16 sezioni dell’organico corale (precisamente 4 sezioni di soprani, 4 di contralti, 4 di tenori e 4 di bassi). Apparirà evidente il gioco di «micropolifonie» delle voci (il tratto verticale che sta all’inizio di ogni segmento indica l’articolazione della sillaba); si vedrà chiaramente il formarsi degli agglomerati sonori costituiti da «clusters» spesso cromatici (cioè di sovrapposizioni di più suoni distanti un semitono fra di loro) e soprattutto il diagramma ci descriverà la tessitura vocale in cui si sta svolgendo il brano in quel momento (osservate quando si andrà nell’estremo acuto e nell’estremo grave). Sarà stimolante, con l’aiuto del video, capire meglio quante voci stanno cantando e a che distanze lo stanno facendo fra di loro.
E se al termine di questo viaggio vi prendesse la curiosità di vedere la partitura eccola qui
e lo scoprirete…. riascoltandolo un’altra volta.
Buon viaggio nella luce eterna.
Antonio Scaioli
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